Il paradosso di Achille e la tartaruga arriva a Piazza Cavour

Il paradosso di Achille e la tartaruga arriva a Piazza Cavour
14 Novembre 2016: Il paradosso di Achille e la tartaruga arriva a Piazza Cavour 14 Novembre 2016

Non è raro nella vita imbattersi in verità paradossali. Una recente sentenza della Cassazione (la n. 21245/2016) ce ne offre un esempio eloquente. Tizio si era rivolto al Tribunale di Roma per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito per la perdita di un congiunto, che la sentenza di primo grado aveva liquidato sulla base della “tabella” in uso a quella data. Pubblicata la sentenza, di lì a poco, ma prima che decorresse il termine per appellare, era stata varata una nuova “tabella”, più vantaggiosa per i danneggiati. Tizio aveva allora impugnato la sentenza, non già dolendosi di un’errata applicazione della prima “tabella”, ma per invocare una nuova liquidazione del danno sulla base della seconda. Respinto il suo gravame dalla Corte d’appello di Roma, la Cassazione ha invece accolto il ricorso presentato avverso tale decisione. Affermano, in sintesi, i Giudici di Piazza Cavour che, per quanto le “tabelle” non rivestano natura normativa, esse “costituiscono un utile parametro dell’attività di giudizio” per valutarne la rispondenza ai criteri equitativi che devono ispirare la determinazione del risarcimento del danno non patrimoniale. Ne conseguirebbe che “la domanda risarcitoria non può ritenersi correttamente soddisfatta” e sussisterebbe un ”interesse alla impugnazione” da parte del danneggiato quando, successivamente alla pubblicazione della sentenza, venga divulgata una nuova “tabella”, maggiormente “remunerativa” rispetto a quella in uso alla data della sentenza impugnata. In questi casi, infatti, “nonostante “il Giudice di merito abbia fatto corretta applicazione dei criteri indicati nella tabella “vigente” al tempo della decisione”, questi diverrebbero “obsoleti” e quindi tali da non assicurare “l’integrale risarcimento del danno” per effetto del sopravvenire della nuova “tabella”. Probabilmente Zenone stesso non si sarebbe mai aspettato che la Cassazione italiana avrebbe attuato in maniera così zelante il suo paradosso. Come il pur velocissimo Achille non potrà mai raggiungere la sua tartaruga, anche la più precisa e attenta  delle sentenze rischierà di non riuscire a soddisfare le imprevedibili mutevolezze dell’equità tabellare. Anzi, può farsi l’ipotesi (tutt’altro che irreale) per cui una sentenza di primo grado che abbia correttamente applicato la tabella “vigente” venga riformata da una sentenza d’appello in virtù di una tabella varata poco dopo la sua pubblicazione e che quest’ultima decisione venga, a sua volta, ritenuta inadeguata dalla Cassazione per effetto di una terza tabella divulgata in pendenza del termine per impugnarla. E, se poi, nel corso del giudizio d’appello vedesse la luce una nuova “tabella”, ancora diversa rispetto a quella sulla quale si fosse fondata la prima impugnazione, potrebbe forse ignorarla il Giudice dell’appello? Certamente no, pena la “non integrale” soddisfazione del diritto del danneggiato… Forse nemmeno Zenone avrebbe sperato in una così brillante applicazione pratica del suo artificio argomentativo. Tuttavia, come ogni paradosso, anche  questo presta il fianco agli strali della logica cartesiana. Non serve essere Aristotele per obiettare che in questo modo si finisce per trasformare l’appello in un novum judicium, stravolgendo la natura di revisio prioris istantiae che gli è propria. E come può una sentenza che nel giorno in cui viene pronunciata deve ritenersi incensurabile diventare iniqua il giorno dopo, per di più in virtù di un “fatto” (tale è, in realtà, qualsiasi “tabella”) che le sopravvenga? Nemmeno una norma giuridica potrebbe tanto… Caso vuole, infatti, che solo pochi giorni dopo le Sezioni Unite (con la sentenza n. 21691/2016) abbiano ribadito che le norme giuridiche non possiedono efficacia retroattiva (come dispone l’art. 11 delle preleggi), salvo che il legislatore non l’abbia espressamente previsto, e che solo in quest’ultimo caso una norma sopravvenuta posteriormente alla pubblicazione di una sentenza può giustificare la sua impugnazione. Ma per affermare questo principio, tutt’altro che pacifico, è stata necessaria una decisione delle Sezioni Unite. La morale che se ne dovrebbe  trarre è che, se anche le “tabelle” non sono norme giuridiche, esse valgono molto, ma molto più di queste, perché dovrebbero ritenersi sempre e comunque retroattive… L’assurdità di questo assioma dovrebbe forse indurre la Cassazione a maggior cautela in proposito. E, se anche a convincerla non fossero sufficienti gli argomenti della “ragion pura”, a tanto dovrebbero persuaderla quelli della “ragion pratica”. Infatti, non è proprio così coerente lamentare l’inarrestabile cumulo di impugnazioni che travolge la Cassazione (30.000 all’anno, con una pendenza complessiva di oltre 104.000 ricorsi, decisi mediamente in 3 anni e 7 mesi) e al tempo stesso incoraggiarle, trasformandole in un sicuro investimento…

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